Recensione di Cuore Di Donna

RECENSIONE di CUORE DI DONNA

Ancora una volta la protagonista è una figura femminile, forte e indistruttibile in apparenza, una
figura che man mano si delinea, si definisce, e diventa così grande e imponente da rubare tutto lo
spazio possibile all’attenzione. È una figura verso cui non puoi non inchinarti per la sua
perseveranza e ostinazione.
Eppure, è anche un romanzo corale, perché sono tanti i comprimari e le figure che si aggiungono,
inserendo tasselli su tasselli alla storia principale, quella di Maria Inez Cortese, che, in corso
d’opera, si arricchisce e si dirama in storie parallele, alternate a lunghi flashback.
Lo definirei una interminabile, avvincente arringa, ricca di sfumature e chiaroscuri, perché tanti, ma
tanti sono gli squarci di luce che a poco a poco si allargano, facendo intravedere l’ultimo faro, in
apparenza irraggiungibile: la salvezza da un’atroce condanna a morte, la sedia elettrica.
Errori di valutazione, colpe e concorsi di colpa: nulla manca alle storie che saltano continuamente
dall’America all’Italia. E sullo sfondo un problema irrisolvibile e annoso: l’EMIGRAZIONE.
E tutto è raccontato in maniera così viva e immediata che il lettore si sente da subito coinvolto e
spinto ad andare avanti e a superare man mano i flutti di un mare sempre più agitato, fino all’esito
finale.
Tante le donne eroine, Maria Inez in primis. E poi l’avvocato-donna Ann Bennett, la prima di
genere femminile che ha il coraggio di accettare l’incarico della difesa nel processo di appello. Le
sono accanto la presidente della NAWSA (acronimo della National American Women Suffrage
Association) e varie altre signore impegnate nello stesso campo, tra cui la moglie del direttore del
carcere di Sing Sing dove è stata trasferita Maria Inez. Sarebbero le cosiddette aiutanti, per dirla
alla Propp.
L’uomo, dapprincipio, è solo di contorno eccezion fatta per Joe Petrosino, il famoso poliziotto
siculo americano chiamato in causa per risolvere questo caso di palese ingiustizia sociale, Remo,
il primo e unico amore di Maria Inez, e il giornalista, Charles Dickinson, che diventerà amico e
collaboratore di Ann Bennett, oltre al direttore del carcere e al magistrato del processo di appello.
Molte anche e degne di nota le mamme che popolano la storia, a cominciare da quelle di Maria
Inez: la mamma adottiva, soprattutto, e poi quella naturale che uscirà presto di scena.
Tutte figure variegate e sfaccettate, vittime anche loro dell’ignoranza e dei pregiudizi del tempo.
Li ho letti quasi tutti i libri di Carla Maria Russo, ma questo è sicuramente uno dei più avvincenti.
Mattoncino su mattoncino, la difesa di Maria Inez, accusata e condannata per aver ucciso il
marito, Cataldo Motta, grazie all’avvocato-donna Ann Bennett, si va costruendo e consolidando
per il processo d’appello, affiancata dai dibatti e commenti della pubblica opinione sulla carta
stampata. E, come in un lungo film, sequenza dopo sequenza si snoda quella che appare come
un’impresa impossibile: la battaglia di Ann Bennett contro la pena di morte, inflitta all’imputata nel
primo processo.
Attraverso una lettera dell’ex fidanzato di Ann, Simon Ford, anche lui avvocato, vengono fuori dei
nodi irrisolti: la tutela dei principi etici e civili: il razzismo, la pena di morte e i diritti delle donne. in
un’atmosfera di un’epoca intrisa di pregiudizi, superficialità e violenza gratuita contro il genere
femminile.

La storia è un susseguirsi di colpi di scena in atmosfere e ambienti disparati, dai più elevati ai più
umili. e degradati : dall’alta borghesia fino ai bassifondi.
E tutto grazie alla penna prolifica di Carla Maria Russo che rende oro tutto quello che tocca.
In questo caso la tematica trattata la coinvolge più del solito.
La scrittrice possiede una scioltezza e una levità nel raccontare e cucire fatti e particolari, anche
scabrosi che riguardano il genere femminile. Ed è come se un velo man mano si squarciasse;
come se un sipario fatto di velo si aprisse lasciando palcoscenico e scena completamente aperti e
a vista svelando gli angoli più reconditi.
La chiusa appare come una liberazione dovuta a quella voglia di riscatto che riesce a contagiare
tutti, persino gli animi più duri e ostili come quella del Pubblico Ministero.
È il grande cuore delle donne a trionfare, delle donne nel senso latino di dominae.
Ancora una volta la nostra Carla Maria Russo si è cimentata nella ricostruzione di uno spaccato di
vita e società legate ad un’epoca particolare e complessa: la fine del secolo diciannovesimo, ricca
di contrasti e fermenti, un’epoca più che mai vicina all’attuale, date le problematiche ancora oggi
irrisolte.
Forte e tenera, ostinata e delicata, duttile ed energica, all’occorrenza fragile, è alla fine la figura
femminile che campeggia davanti a chi ha letto il romanzo.
Qualità queste, tutte, che potremmo attribuire a Maria Inez e anche, con le dovute variazioni, ad
Ann Bennett, cui viene affidato un compito in apparenza irrealizzabile.

Recensione di Giulia Notarangelo

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