Carla Maria Russo

L’Influenza del Novecento Italiano

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In questa pillola voglio parlare della mia passione per la letteratura del Novecento italiano e, in particolare, per quella dei primi 60/70 anni del secolo, affrontando, di volta in volta, alcuni dei miei autori preferiti. Non tutti, ovviamente. Vale quanto già detto per la letteratura dell’Ottocento europeo: sono costretta a scegliere, sapendo di fare un torto a molti.

In questa scelta, non seguirò né un criterio di successione cronologica, né di fama letteraria, ma solo di significato che questi autori e i loro libri hanno avuto nella mia vita, nel costruire il mio gusto e nel donarmi emozioni.

Oggi mi occuperò di Pratolini. E, per contrapposizione, di Vittorini.

Parto proprio da quest’ultimo: Elio Vittorini.

So bene che quanto sto per dire potrebbe guadagnarmi non pochi nemici ma raramente un autore mi ha annoiata tanto quanto Vittorini, che pure ho letto tutto (almeno credo) ma solo perché lo consideravo un mio dovere intellettuale. Negli anni della mia giovinezza, esistevano dei must letterari, degli autori che non potevi non leggere se ci tenevi costruirti un credito culturale (e io ci tenevo, come ho spiegato in altre puntate del blog: da giovanissimi, si sa, si soggiace più facilmente a queste manie e ricatti modaioli). Uno di questi must era Vittorini (un altro, Pavese, ma lui era parecchio meglio di Vittorini)

Vittorini mi ha sempre dato l’impressione (ma solo oggi mi azzardo a dirlo a voce alta) di avere un concetto di sé elevatissimo, al punto da poter contrabbandare per capolavori assoluti dei romanzi che io trovavo nient’altro che una sequela noiosissima e prolissa di situazioni assurde e improbabili, contrabbandate come interpretazione simbolica ed analogica della realtà.

Sarà che certo simbolismo arcano e rivolto a un ristretto gruppo di iniziati, nel romanzo non mi è mai piaciuto (diverso il discorso per la poesia), mi ha sempre dato l’impressione di trovare la sua giustificazione più in un autocompiacimento dell’autore (Dio, come sono bravo e misterioso, quali vette di indecifrabilità riesco a raggiungere!), che nel desiderio di giungere alla mente e al cuore del lettore: l’imperscrutabilità come cifra della propria grandezza…

Mah… Non amo l’intellettualismo esasperato perché lo trovo freddo, distaccato, autocompiaciuto e autoreferenziale, incapace di comunicare emozioni… Per me, il romanzo non è questo. Come ho ampiamente spiegato in altre pillole, io sono sempre stata catturata da storie molto intense, molto cariche di pathos, per cui forse non possiedo gli strumenti emotivi per comprendere opere fortemente simboliche, ermetiche, che fanno della incomunicabilità una scelta deliberata.

Quello che posso assicurarvi è che leggere Conversazione in Sicilia (che pure mi sono sorbita dalla prima all’ultima parola) è stato un calvario. E lo stesso vale per le altre opere di Vittorini, fatta eccezione per Uomini e no, l’unico romanzo che ho riletto una seconda volta da adulta, apprezzandolo allo stesso modo. Ma il resto, no, proprio non me la sento di rileggerlo.

E invece ho amato Pratolini, perché ho sentito le sue storie e i suoi personaggi vicini al mio cuore.

Pratolini è stato, per il mio gusto letterario, l’esatto contrario di Vittorini. Per quanto il secondo mi è parso involuto, complicato, deliberatamente distante dal pubblico, allo stesso modo ho percepito Pratolini come un autore corale, inclusivo, carico di simpatia umana, di coinvolgimento emotivo nelle vicende dei suoi personaggi, nella materia del suo racconto, forse anche perché nelle sue opere è riversato tanto della sua vita. Quella esperienza personale, però, non è mai narrata, come le mode letterarie del momento invitavano a fare, in chiave lirico-rievocativa, intellettuale, simbolica. Al contrario, si traduce in storie vere, appassionate e coinvolgenti, uomini e donne reali, riconoscibili, con la loro vita spesso irta di difficoltà – perché Pratolini ambienta le sue storie fra operai, popolani, gente di borgata – con la loro sanguigna umanità e la loro temperie di sentimenti e di passioni.

Insomma, in Pratolini, il recupero memoriale, che certamente c’è perché, come ho detto, molto della sua esperienza di vita è travasata nei suoi romanzi, non diventa mai un semplice ripiegamento su se stesso o rivisitazione del passato in una chiave di rarefatto intellettualismo, ma resta sempre apertura e attenzione verso il mondo degli altri, verso il sociale: la città, molto spesso il quartiere, o addirittura la strada – la famosa via del Corno, in Cronache di poveri amanti – con l’umanità varia che la popola. Per questo le sue storie sono così autentiche, umane, ricche e sfaccettate nei toni.

Cronache di poveri amanti è forse il libro che preferisco di Pratolini, assieme a Metello (ma sto facendo un torto a Le ragazze di San Frediano, Cronaca familiare, Lo Scialo…). Di Cronache di poveri amanti, una certa critica ha scritto che il suo pregio – ovvero la dimensione fortemente popolare – contiene in sé anche il suo limite: un populismo un poco ingenuo e uno schematismo un po’ scontato, che vede nel popolo, i valori positivi, nella borghesia, quelli negativi.

Io credo invece che Cronache di poveri amanti sia un’opera autentica, molto credibile e poliedrica, che inquadra bene una società e un’epoca, tanto da poter davvero aspirare alla qualifica di romanzo della epopea popolare, quasi al livello di La Malora, Le terre del sacramento, Fontamara.

Giudizio che mi sento di ripetere con identiche parole per Metello, in cui mi sembra che l’autore riesca a creare un perfetto equilibrio tra la vicenda personale e sentimentale del protagonista e la sua storicizzazione, ovvero il suo inserimento nel contesto storico e sociale dell’epoca, sicché la sua crescita personale e la maturazione sentimentale coincidono con la sua presa di coscienza politica e sociale, al punto che la seconda informa e dà consistenza alla prima (si pensi, solo per fare un esempio, all’amore per Ersilia, nato dalla tragedia sul lavoro in cui è morto il padre della ragazza)

In Metello l’autore riprende i temi di Cronache di poveri amanti – l’atmosfera del quartiere, la vita delle classi popolari, i valori di solidarietà, amicizia, amore ma anche la rivolta, le tensioni sociali, la repressione – inserendoli in una narrativa vigorosa e rigorosa, severa e misurata, raggiungendo dei risultati davvero degni di nota.

Insomma, come avrete capito, Pratolini è stato un autore che ho molto apprezzato per la sua capacità di comunicare davvero con il lettore, di raggiungere il suo cuore, portandolo per mano attraverso una lettura piacevole, avvincente e nello stesso tempo ricca di documentazione storica e di temi sui quali riflettere.

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