Oggi voglio parlarvi di un grande romanzo, che esaminerò in un paio di “pillole”, perché offre molto materiale su cui meditare e di cui appropriarsi. Sto parlando di: LEGGERE LOLITA A TEHERAN, della bravissima scrittrice iraniana Azar Nafisi.
Nata nel 1948 in una famiglia della buona borghesia di Teheran, ha studiato in occidente (Inghilterra e Stati Uniti) ed è tornata in Iran alla fine degli anni Settanta, in perfetta concomitanza con la rivoluzione Khomeinista che ha trasformato lo stato in una repubblica islamica sciita, la cui costituzione si ispira alla Sharia. Ottenuta la cattedra di letteratura inglese all’università di Teheran, ha dovuto misurarsi con la repressione e il controllo culturale del regime e, pur tentando di resistere e restare nel suo paese, alla fine ha dovuto arrendersi e fuggire con la sua famiglia negli Stati Uniti, dove ha potuto pubblicare il libro di cui stiamo parlando, nel quale narra le sue esperienze di docente universitaria a Teheran ai tempi della rivoluzione Khomeinista.
Senza ancora entrare nel merito dei contenuti di questo ricchissimo libro, le prime riflessioni che intendo proporvi con la pillola di oggi riguardano il titolo e la copertina.
Conoscendo la situazione politica in cui la Nafisi ha operato, è facile comprendere come, sia l’uno, sia l’altra rappresentino una sorta di ossimoro, una contraddizione, un rischio, un azzardo. Di più: un pugno che arriva micidiale e potente nello stomaco di chi legge. Perché, viene spontaneo chiedersi: come si può proporre la lettura di un libro come LOLITA (il famosissimo romanzo di Nabokov, che tanto scandalo suscitò persino nella società occidentale) in un contesto culturale così fortemente sorvegliato e repressivo quale quello iraniano? Quanto coraggio richiede una scelta del genere? Io, al suo posto, sarei stata capace di fare altrettanto?
La copertina è all’altezza del titolo: da sola, è in grado di comunicare un messaggio trasversale, leggibile su molteplici piani, sottile, sofisticato eppure (ecco una delle tante facce dell’ossimoro) forte, intenso, contraddittorio, violento. Un messaggio che sarà poi la cifra di tutta la narrazione della Nafisi: scuotere le coscienze.
Si tratta di una fotografia che mostra una donna completamente vestita di nero, seduta all’aperto su uno scalino e china su un libro che sta leggendo (possiamo immaginare sia Lolita?), mentre un panno nero, pesante come gli abiti, le copre completamente il volto. Cercate questa foto su internet, osservatela, ascoltatela, lasciate fluire le emozioni che vi suscita.
Attenzione, però: dovete cercare la versione originale della cover, quella della prima uscita del libro (mi pare, nel 2004), non la nuova che, non mi spiego perché, (forse ragioni di opportunità politica?) è stata cambiata con un’immagine del tutto inefficace, leziosa e lontanissima dal messaggio che l’autrice vuole proporci.
Quali impressioni e suggestioni suscita in me quella copertina? In che senso essa è un ossimoro?
Lo è perché la ragazza che legge è costretta a nascondersi, a proteggersi il volto per non farsi riconoscere. Ma la cultura, il sapere, la lettura non significano – o dovrebbero significare – apertura, libertà, ponte che unisce gli esseri umani e le loro coscienze, strumento di reciproca conoscenza e comprensione?
Il pensiero corre allora ai regimi autoritari, al forte controllo che essi debbono necessariamente esercitare sulla cultura, all’ostilità e alla paura che essa genera in loro.
PAURA DEL SAPERE.
Perché, meno si sa, meno si comprende. Meno si comprende, meno si genera senso critico, si prende coscienza della propria condizione o si è in grado di valutare. Meno si genera senso critico, più è facile dominare e conservare il potere.
E poiché le scuole sono il luogo primario e imprescindibile dell’apprendimento, delle due, l’una: o si cerca di impedire al numero più vasto possibile di persone di frequentarle (specie se donne), oppure si esercita un controllo ferreo sui contenuti da trasmettere, perseguitando chi non si adegua. La tirannia si è sempre conservata in questo modo.
E, proprio a proposito di donne, un’ultima riflessione: non è un caso che sia stata scelta come protagonista della copertina una ragazza che si nasconde dietro uno spesso panno nero. Il messaggio politico e sociale è chiarissimo: prima ancora che gli uomini, sono le donne che devono essere allontanate da un percorso di conoscenza. Perché conoscere significherebbe comprendere la condizione di sottomissione nella quale sono tenute da sempre e dappertutto ma, ancor di più, nei regimi autoritari, la cui sopravvivenza è strettamente legata alla capacità d’immobilizzare la struttura sociale e perpetrare il conformismo ideologico.
Nella prossima pillola, entreremo nel vivo dei contenuti e del messaggio di questo bellissimo libro. Per intanto, complimenti vivissimi all’autrice e alla casa editrice per l’efficacia del titolo e della copertina.