Carla Maria Russo

Riflessioni sul romanzo: prima pillola

Riflessioni

Il romanzo di “Genere”

Per quanto mi riguarda, esistono solo due generi di romanzi: IL BUON ROMANZO e il ROMANZO MEDIOCRE.
Quali caratteristiche deve possedere un romanzo per appartenere al primo gruppo, cioè quello dei “buoni romanzi”?

Non c’è dubbio che il romanzo sia essenzialmente la narrazione di una vicenda individuale, di una vicissitudine concretamente personale. Tuttavia, per essere buono, esso deve essere in grado di superare proprio quella individualità e trasformare la vicenda personale in una grande esperienza collettiva, nella quale tutti possano ritrovare almeno un poco di se stessi.
Perché questo avvenga, “un avvenimento non può essere semplicemente narrato, perché così non si trasformerà mai nella storia di tutti noi, mia, tua, dell’umanità intera, resterà solo la vicenda personale di un singolo individuo” ma deve essere filtrato, interpretato, rivissuto attraverso il mondo interiore e la fantasia dell’autore.
Facciamo un esempio: quando Dante, nella sua Divina Commedia (canto XXVI) racconta la storia di Ulisse, si serve di quella vicenda personale per due scopi: da una parte, esaltare un sentimento nel quale l’umanità intera si può ritrovare, ovvero il prepotente bisogno dell’uomo di conoscere, di scoprire, così intenso da indurlo a sfidare i limiti che gli si oppongono, persino, a volte, a rischiare la propria vita. Dall’altra, per porre un problema, rivolgerci una domanda, sollecitare una nostra riflessione: ha fatto bene Ulisse a rischiare la vita per soddisfare questo desiderio? E’ giusto? E’ sbagliato? Farei altrettanto? La conoscenza deve avere un limite, invalicabile per l’uomo, o nessun limite?
Ed ecco come, una vicenda personale – quella di Ulisse – si trasforma per i lettori in grande esperienza collettiva, in materiale di riflessione, di discussione, di riconoscimento o contrapposizione.

Come è riuscito Dante a realizzare questo passaggio dall’individuale all’universale?
Lo ha realizzato perché non si è limitato a narrare la storia di Ulisse (è andato qui, ha fatto questo e quest’altro) ma ha esplorato le ragioni di quell’agire, ha descritto le passioni e i sentimenti che si agitavano nell’animo del protagonista e che ne hanno determinato le scelte e le decisioni.

Il romanzo è proprio questo: un grande palcoscenico sul quale si dispiegano le passioni umane, la loro lotta, il loro ribollire, l’incidenza profonda che rivestono nel determinare le azioni umane. Ed è su questo terreno – quello delle passioni e dei sentimenti – che la narrazione diventa universale ed eterna.
Dell’Iliade, nessuno ricorda le battaglie. Ma tutti ricordano le scene delicatissime e toccanti dell’addio di Ettore e Andromaca alle Porte Scee, con il piccolo Astianatte spaventato dalle armi paterne, o quella del vecchio Priamo che si reca dal suo peggiore nemico, Achille, colui che ha ucciso l’amatissimo Ettore e ne ha vilipeso il cadavere, per supplicarlo di restituirgli quel corpo martoriato in modo da potergli dare sepoltura e concedergli la pace nell’aldilà. E Achille, che pure aveva giurato di non farlo mai, di lasciare quel corpo in pasto alle belve, si lascia commuovere e accoglie la supplica.
È in questi passaggi, capaci di toccare le corde più sensibili e delicate del cuore umano, che l’Iliade diventa eterna e universale, capace cioè di parlare all’uomo di sempre.

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